Storie sulle pagine Facebook: come fare

Mark Zuckerberg non si arrende mai e non smette di stupire i suoi utenti, con nuove esilaranti funzionalità, sul Social Network Facebook.

Nonostante lo scarso successo, che ha ottenuto con la funzione “Storie”, ha annunciato l’introduzione della funzione – del tutto differente – “Storie per pagine”. In questo caso, i tanti iscritti al Social, potranno realizzare dei contenuti temporanei che rimarranno visibili, solamente 24 ore, per poi sparire all’interno di un buco nero sconosciuto.

Queste storie, potranno contenere foto e video con tanto di emozioni, posizione, tag e storia, divertente o meno che sia.

La Product Manager di Facebook, Amy Sun, comunica che sono stati ascoltati i pareri della community, lavorando per rendere la sezione “Storie”, molto più interessante e facile. Sia le persone che i brand, devono essere in grado di condividere le proprie storie, senza trovarsi in difficoltà o con il rischio di non essere visualizzati per tempo, prima che questa svanisca.

Questo nuovo servizio è stato oggetto di test, per molti mesi, anche attraverso alcune pagine a campione, prima che fosse pronto al lancio ufficiale. Presto si conoscerà la data ufficiale e sarà messo a disposizione solo attraverso la piattaforma mobile, per i software iOS ed Android.

Come funzionerà? In linea di massima, riprenderà le stesse funzioni delle Storie, che vengono realizzate e postate, per ogni profilo personale (diario). Gli amministratori di una pagina, dovranno accedere alla Timeline e premere il pulsante “Crea una Storia“, che sarà presente sulla barra in alto.

La storia sarà visibile a chi visiterà la pagina, solo per un lasso di tempo pari a ventiquattro ore. Tutte le altre funzionalità resteranno invariate.

Non mancano le polemiche in merito, che indicano l’idea di Zuckerberg non originale, cercando di eguagliare il successo delle “Storie” del Social Network Instagram. Quest’ultimo, infatti è addirittura riuscito nell’impresa di superare Snapchat, padre della funzione “Storie”.

Cresce l’ossessione per lo smartphone

La malattia legata allo smartphone è in grande diffusione: i dati sono spaventosi e superano di gran lunga quelli legati ad altri “vizi” ed ossessioni, legate al comportamento umano.

La metà degli utenti utilizza lo smartphone per una media, legata a cinque ore al giorno. Nel dettaglio, si passa a sette ore, su una stima di un utente su quattro – pari al 26%.

Gli ossessionati, che raggiungono il primo posto, sono gli utenti dei paesi emergenti che si vedono obbligati, ad utilizzare il dispositivo mobile anche come personal computer.

Questo dato è uscito a seguito di un’analisi effettuata dal Counterpoint Research, su un campione di 3500 utenti, in tutto il mondo.

Quali sono le azioni, che vengono compiute maggiormente tramite smartphone? Internet e gioco. Queste sono le attività preferite dagli utilizzatori, con una percentuale che va dal 62% al 64%.

Segue la consultazione della e- mail con il 56%, messaggeria (whatsapp e messenger, prevalentemente) con il 54%.

Un altro dato, messo in evidenza, si basa sul ciclo di vita del prodotto stesso. Mentre una volta, gli smartphone avevano una durata media di quattro anni, adesso si riduce ad un massimo di due anni. Di conseguenza, il giro d’affari che riguarda il prodotto è aumentato, superando i 370 miliardi di dollari.

La maggior parte delle persone, porta lo smartphone, sempre con se: bagno e letto compreso. L’ossessione è incontrollabile e conduce ad un controllo assiduo del proprio cellulare, quasi senza rendersene conto.

Lo studio, ha valutato anche i comportamenti degli utilizzatori all’interno della società moderna, evidenziando che queste modalità portano a non interagire con alcuna persona “reale”. 

Provate ad entrare in un ristorante: quante sono le persone, che si guardano in faccia e chiacchierano del più e del meno? Pochissime. La maggior parte, guarda il cellulare, controllando messaggi e visualizzando le mail.

Dove porterà questa ossessione, nei prossimi anni?

Free Bleeding la moda del ciclo mestruale senza assorbenti

Si può essere a favore e si può essere contro e l’argomento gira intorno al ciclo mestruale, ancora troppo tabù.

Free Bleendig è il nuovo fenomeno che sta prendendo piede, tra le donne di quasi tutto il Mondo, Italia compresa, considerato come atto femminista moderno.

Partendo dalla base del problema, in effetti, noi donne dovremmo fare molte rimostranze nei riguardi di alcuni elementi legati al ciclo mestruale: dal costo degli assorbenti, considerati beni di lusso, alla proposta di legge, relativa al congedo mestruale non ancora approvata. Dovremmo essere libere di esprimere il nostro dolore mensile, senza sensi di colpa o timori.

Dall’altra parte, dovrebbero anche smetterla di realizzare pubblicità, dove la donna con il ciclo mestruale si mostra felice e contenta, con tanto di capriole o corse felici lungo i prati. 

Ma il Free Bleeding è ben altra cosa, molto discutibile: un gruppo di donne, durante il ciclo mestruale, ha deciso di non indossare alcun assorbente – esterno o interno – sporcando, tranquillamente, vestiti ed indumenti intimi.

Questo fenomeno, in realtà e nato come scherzo e bufala: il portale 4chan, nel 2004, aveva lanciato questo progetto dove invitava le donne di tutto il Mondo a non utilizzare più gli assorbenti, ma lasciar il ciclo mestruale libero, essendo una cosa naturale e non vergognosa. Alcune donne, non capendo che fosse uno scherzo, hanno aderito alla campagna. Molti i posti ed i video, che ritraggono questi gruppi femministi, con i vestiti macchiati di sangue e con slogan di protesta.

Chi ha provato il Free Bleeding, afferma di essersi trovata benissimo e di aver finalmente toccato con mano la libertà di poter esprimersi, anche durante quei noiosi giorni del mese. Forse, non ha considerato la grande quantità di indumenti da lavare e disinfettare, successivamente?

Per le donne occidentali, potrebbe quasi essere una sorta di gioco e moda femminista del momento, ma ricordiamoci sempre che, in alcune parti del mondo le donne sono obbligate ad aderire al Free Bleeding, non avendo alcuna possibilità di comprare gli assorbenti.

“Pull a Pig” è la nuova violenza sui social

“Inganna il maiale” è la nuova violenza, di moda sui social. Il fenomeno molto discusso è arrivato anche in Italia ed è stata proprio una vittima, Irene Finotti, a parlarne durante un’intervista, per far aprire gli occhi a tutte quelle persone che potrebbero cadere nella rete.

Il gioco/scommessa, consiste nell’individuare all’interno di un locale o direttamente sul social, una persona non particolarmente gradevole d’aspetto a causa di obesità evidente. Successivamente si cerca di prendere confidenza e di corteggiarla in ogni modo possibile, fino a farla cadere nel vortice dello scherzo crudele.

Irene Finotti, racconta di essere stata contattata da un ragazzo ed invitata a far parte di un gruppo di Facebook, riservato. Dopo averla corteggiata, il ragazzo decide di andarla a trovare e passare tre giorni insieme a lei. Subito dopo la sua partenza, il ragazzo stesso si allontana senza spiegazioni e lei, rimando male per questo comportamento, decide di cancellarsi dal gruppo in questione.

Dopo poco tempo, grazie alla segnalazione di un’amica, scopre di essere diventata “lo zimbello” del social e del gruppo, dove la sua foto nuda di spalle – con tatuaggi in evidenza e capelli blu elettrico (fatta da lui, dopo uno dei loro incontri), girava indisturbata con molte scritte e memes a lei dedicate.

Un vero e proprio shock: Irene non voleva più andare a lavoro, con la paura che tutti potessero riconoscerla in quella foto e, di conseguenza, essere vittima di un  effetto domino che di norma accade.

Dopo un momento di sconforto, ha deciso di reagire, dimagrendo e facendo qualcosa per lei, ma soprattutto denunciando questo nuovo “gioco”, che di divertente non ha nulla. Purtroppo le autorità non hanno potuto fare alcuna azione, a causa di alcuni dettagli.

Grazie al coraggio di questa ragazza, tutti sono venuti a conoscenza di “Pull a Pig”, questa nuova moda social che può rovinare la vita e che non diverte nessuno.

Cam Hot : attenti alle truffe online

Omnicanalità significato nel marketing

Se le aziende utilizzassero al meglio l‘omnicanalità, avrebbero molte più occasioni per vendere i propri prodotti e potrebbero espandersi in molte parti del Mondo, affermandosi come leader.

Sono poche le persone che sanno il vero significato di omnicanalità e sono ancora meno quelle che la applicano. Per capire meglio il significato, bisogna fare un passo indietro e cercare di comprendere, da dove parte questo processo.

Antonio Ferrandina, Docente di Organizzazione e Marketing delle Aziende Turistiche presso l’Università del Molise e docente Senior Area Marketing presso la LUISS Business School, ha spiegato, durante una recente intervista, il concetto al meglio, comunicando quelli che sono gli step per arrivare alla omnicanalità.

Le aziende, possono utilizzare diverse tipologie di canali, per vendere e far conoscere il proprio brand:

  • Monocanalità ovvero il solo negozio fisico, con una strategia di marketing prevalentemente offline, dedicata alla vendita diretta dei prodotti, al cliente che si reca personalmente nel negozio
  • Multicanalità: in questo caso la strategia di marketing si basa su due canali importanti, ovvero il negozio fisico ed il negozio online, che garantisce al cliente una maggiore possibilità di scelta e offre all’azienda un margine molto più ampio di conoscenza
  • Omnicanalità dove l’azienda sfrutta tantissimi e diversi canali, per arrivare al cliente, offrendo servizi di vendita multipli e avendo la consapevolezza di potersi espandere nel mercato mondiale.

 

Le aziende, ultimamente, stanno cercando di mettere in pratica alcuni progetti, che portano alla omnicanalità. In un Mondo che ci vuole sempre più tecnologici e veloci, sarebbe giusto che le realtà fisiche, si evolvessero a tal punto da essere raggiungibili da ogni possibile canale e dare la possibilità di poter ordinare o richiedere un prodotto, da ogni parte del mondo con ogni mezzo possibile.

La facilità vede le nuove realtà, nascere già con l’idea e la pratica della omnicanalità. La difficoltà vede aziende, da anni sul mercato, doversi allineare a queste nuove strategie di Marketing, non sempre attuabili, in poco tempo.

 

Campagna di marketing pull

Smart Working significato e in cosa consiste

Solo in Italia si contano più di 350 mila lavoratori agili, registrando una forte crescita di circa 14% dall’anno scorso.

Gli smart worker italiani si considerano persone soddisfatte, che hanno pieno potere del proprio tempo e consapevolezza delle loro capacità. Inoltre, in campo digitale, non li batte nessuno, applicando le proprie competenze in vari campi.

Non solo autonomi, ma anche dipendenti. Sono molte le grandi imprese che hanno deciso di dare ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in maniera agevole, riducendo di molto i costi dell’azienda e rendendo il lavoro del proprio staff, molto più appagante e rilassato. Altre grandi Aziende hanno in progetto, di attuare questo nuovo modo di lavorare, ma tra il dire ed il fare si mette in mezzo burocrazia ed un’organizzazione da rivedere nei dettagli: non è così veloce e pratico, come potrebbe sembrare.

Le pmi, cominciano ad avvicinarsi a questa idea dello smart working, anche se l’ignoranza in merito all’argomento è ancora vasta, mentre in altri casi è impossibile da attuare, a causa di un’organizzazione aziendale che non permette questi cambiamenti.

Cosa ne pensano, invece le Pubbliche amministrazioni? Si conta solo un 5% con un progetto da mettere in pratica, ma sono molte le persone interessate, che vogliono realmente vivere questo nuovo modo di lavorare.

Da uno studio approfondito effettuato dall’osservatorio dello Smart Working, si evince che questa tipologia di lavoro agile, può portare a molti benefici per l’azienda e per il lavoratore stesso. Inoltre, noi conosciamo solo una piccola parte delle potenzialità che può avere lo smart working. Tutto questo è il futuro prossimo e non si dovrebbe perdere tempo a pensare come fare, ma attuare progetti dediti all’attuazione dello smart working, il prima possibile.

Lo smart working è una possibilità di rilancio per molti lavoratori, ma anche per le aziende, che potranno permettersi di aumentare il numero dei propri dipendenti, tenendo basse le spese ed avendo una produzione continua.

Caratteristiche Mac e confronto con altri PC

Lit Motors C1, le caratteristiche della moto del futuro

Whatsapp, svela con chi parli e se stai dormendo

Whatsapp è sempre stata considerata l’applicazione per Smartphone più sicura e con impostazioni di privacy a prova di satellite.

Secondo l’ingegnere software Rob Heaton, Whatsapp è molto vulnerabile e può far scoprire dettagli del nostro stile di vita e delle nostre conversazioni. Sappiamo benissimo che sull’applicazione siamo in grado di nascondere l’ultimo accesso, ma non ci sia modo di non visualizzare lo stato di online, di conseguenza nascondersi proprio del tutto, non risulta essere fattibile.

Rob Heaton afferma che applicando un’estensione al software Chrome, si possano registrare tutte le attività dei contatti, scoprendo sia se stanno dormendo che con chi stanno conversando.

Addio privacy? Secondo l’ingegnere potrebbe essere proprio così. L’innocente voce online, può nascondere molti segreti e causare molti danni.

In parole povere, secondo uno schema ideato da Heaton, si potrebbe essere in grado di sapere quando due contatti stanno conversando tra di loro ed, inoltre, monitorare le abitudini di ciascuno di noi, solo dagli orari di accesso e da quelli in offline. Una buona occasione per scoprire tradimenti o conoscere le conversazioni più segrete.

Ma veramente può bastare un semplice script di quattro righe per Chrome, al fine di monitorare i propri contatti? Il concetto può avere molti bachi, infatti è possibile che ci si addormenti con l’applicazione aperta o non ci si connetta per un giorno intero, a causa di imprevisti o linea mancante.

Quella di Heaton potrebbe essere una scoperta pericolosa, se attuata in maniera differente dalla semplice curiosità o sospetto e, allo stesso tempo, potrebbe essere una sorta di provocazione. Aprire gli occhi sul fatto che ogni applicazione sia in grado di controllare e registrare ogni nostro “passo”, anche se lo si dimentica spesso e volentieri.

Un modo per riflettere sui nostri usi e modi, nell’attesa di capire se questa teoria di Heaton diventerà anche pratica.

 

 

 

Rompicapo web: di che colore sono le scarpe

“The Dress” era un semplice scatto fotografico ad un vestito, che aveva letteralmente diviso e fatto impazzire tutto il web, a causa del suo colore. Una strana illusione ottica faceva visualizzare il vestito di colore blu e nero oppure bianco e oro.

E’ quello che sta succedendo ora,  per una scarpa modello sneakers, del noto brand Vans. Il dibattito è iniziato con un post su Twitter che riporta la fotografia della scarpa e la richiesta: “qualcuno sa dirmi di che colore è questa scarpa?”. Da quel momento tutti gli utenti del web stanno impazzendo per rispondere e cercare di capire il vero colore della sneaker fotografata. 

Il mondo dei social si divide: c’è chi la vede di colore bianco e rosa e chi grigio e celeste. I più precisi, la indicano come grigio e verde acqua.

Non mancano i sondaggi su Twitter, cercando di determinare il vero colore della scarpa, chiedendo consiglio agli utenti di tutto il mondo e sperando di arrivare ad una decisione, il più possibile, unanime.

Ora, guardate attentamente la scarpa, qual’è il colore che notate? Non è una questione di essere o meno daltonici, ma un vero e proprio effetto ottico che causa la fotografia stessa, perchè ognuno di noi interpreterà il colore in maniera diversa.

Se siete dieci persone in una stanza, state certi che direte un colore differente e non arriverete mai ad avere la stessa idea in merito. Il cervello attua dei meccanismi, ancora in parte sconosciuti, che proiettano una visione differente per ogni individuo.

Che sia per curiosità o per moda, questo rompicapo web ha incrementato le vendite delle sneakers Vans in questione, tanto da arrivare a chiedersi se sia o meno un meccanismo di Marketing ben riuscito.

Tutti ne parlano, tutti le vogliono ma per voi, di che colore sono le scarpe?

Parlare in quasi tutte le lingue grazie a degli auricolari

Google ha pensato ad uninvenzione straordinaria, per aiutare ogni persona a divincolarsi quando si trova in una città straniera e non conosce la lingua.

Durante la presentazione dei nuovi telefoni della serie Pixel, Google ha voluto stupire il mondo, presentando anche gli auricolari denominati Pixel Bud. Questi auricolari sono wireless ed integrate a Google traslate, oltre a mantenere tutte le caratteristiche dell’oggetto che tutti conosciamo.

Come funzionano? Entrambe le persone che indosseranno questi auricolari, potranno parlare tranquillamente nella loro lingua di appartenenza ed essere perfettamente capiti. Saranno i Pixel Bud a fare tutto il duro lavoro: infatti la frase detta in una lingua straniera, verrà in automatico captata dall’auricolare e tradotta nella lingua di appartenenza.

Non si dovrà più avere ansia durante una riunione o viaggio di piacere e non ci saranno più incomprensioni dovute ad una scorretta interpretazione della lingua straniera.

Il video di presentazione non ha lasciato alcun dubbio sulle funzionalità degli auricolari e molte le persone entusiaste di questa nuova invenzione. Unica pecca è che i Pixel Bud funzionano bene se la velocità di connessione ad Internet è efficiente. In alcuni luoghi, dove la connessione è debole o addirittura assente, ci si potrebbe trovare un attimo in imbarazzo.

Gli auricolari vengono collegati al proprio Smartphone, sfruttando la potenza di Google Translate e riuscendo ad utilizzare sino a quaranta lingue differenti. Un’autonomia di cinque ore di funzionamento ed uno speciale power-bank, che consente di estenderla sino a ventiquattro ore.

Si possono acquistare comodamente online ad un costo di circa 159,00 dollari: un’invenzione che ci porta verso il futuro e alla comodità di viaggiare senza pensieri.

Nonostante questa novità, speriamo che si continui ugualmente a studiare le lingue straniere, utilizzando gli auricolari come aiuto nella comprensione e traduzione.

Social e bambini pericolo. I più piccoli sono tutelati?

Proteggere i bambini dai Social Network non è facile, per quanto i genitori possano controllarli, il mondo esterno è oramai alla portata di tutti in ogni momento. Non solo Facebook, ma anche InstagramTwitter – snapchat ed ogni altro genere di social, che se non utilizzato e gestito in maniera corretta può creare gravi danni.

E’ uscito un libro a riguardo, dal titolo “Nasci, cresci e posta”, scritto dal giornalista Simone Cosimi e lo psicanalista_psicoterapeuta Alberto Rossetti che affronta la tematica relativa ai ragazzini e l’approccio con i Social Network. E’ un vero e proprio volume concepito come una guida, che vuole dare molte informazioni in merito all’utilizzo in tutta sicurezza di questi social e a conoscere al meglio i regolamenti, quelli che nessuno normalmente legge. Non solo: dedica una parte alla spiegazione delle terminologie utilizzate nell’uso comune come “fake” oppure “deep web”, per non incorrere in qualche tranello del web.

La protezione è il tema più importante e bisogna imparare ad impostare ogni tipo di privacy possibile, soprattutto per i minorenni. Una guida nata per i giovani ma consigliata ai genitori, perchè possano gestire al meglio i cellulari o tablet dei propri figli, prevenendo sin da subito quello che potrebbe accadere dietro la tastiera.

I sondaggi rivelano che sono gli adolescenti ad essere in pericolo a causa del loro continuo postare foto in atteggiamenti poco adeguati, che danno larga immaginazione a pedofili o varie organizzazioni. I bambini cominciano ad utilizzare Facebook dai dieci anni, guardando l’account della mamma e chattando con gli amici lontani.

La vera e propria paura è che, la maggior parte dei genitori, non si rendano conto del pericolo che possa esserci dietro un piccolo schermo come quello dello smartphone, con contatti diretti da personaggi sconosciuti che si presentano in un modo, per poi rivelarsi in realtà diversamente.

Non è un argomento da prendere alla leggera, per questo una guida su come approcciarsi al mondo del web è utile sia per proteggere i bambini, sia per proteggere gli adulti.

Smart Working , arriva la legge che tutela il lavoro da casa

“Dove” e le polemiche per lo spot razzista

Conosciamo tutti il marchio che tratta di bellezza “Dove“, ma forse a qualcuno è sfuggito un potente epic fail dello stesso, direttamente sul proprio profilo social.

Per pubblicizzare al meglio l’uscita di un nuovo bagnoschiuma, l’azienda “Dove”, ha pensato bene di lanciare il prodotto postando un video breve di 3 secondi circa, dove si vede una ragazza nera con maglia marrone che togliendosi la maglietta, si trasforma in bianca con relativa maglia chiara. Un tremendo errore che non è passato inosservato ed è stato subito segnalato come “inadeguato e razzista”.

La prima ad accorgersi dell’accaduto è stata la famosa make up artist Naomi Blake che ha subito fatto uno screenshot delle immagini più significative, postandole di conseguenza sulla propria pagina Facebook.

Dopo pochissimi minuti lo spot “razzista” ha fatto il giro di tutto il mondo, indignando la maggior parte delle persone, che hanno fatto sapere la loro opinione tra tweet e commenti poco gentili sul social network Facebook.

L’azienda “Dove” ha immediatamente eliminato lo spot breve da ogni social network e posto le dovute scuse pubblicamente, dichiarando: «Un’immagine da noi postata di recente su Facebook ha fallito il suo obiettivo non rappresentando nel modo più corretto le donne nere. Siamo profondamente rammaricati per l’offesa che essa ha causato».

Ma le scuse con relative lacrime da coccodrillo, non sono servite a placare gli animi, tanto da aver portato alcune persone a pensare ad una campagna per boicottare l’Azienda ed i suoi prodotti.

Che lo spot non sia propriamente adatto, non lo si mette in dubbio ma che addirittura si voglia togliere dal mercato alcuni prodotti della linea “Dove”, sembra un pochino esagerato. Lo scopo non era quello offensivo,secondo l’ufficio marketing dell’azienda, ma quello di sottolineare la profonda pulizia che si può ottenere dal bagnoschiuma.

Una teoria che non ha convinto nessuno e, che ha messo in cattiva luce uno dei marchi più popolari in circolazione.

Sicurezza su Internet : regole per proteggersi

Instagram come Snapchat: arrivano i sondaggi

L’app di Instagram torna a far parlare di se, introducendo i sondaggi nelle storie, copiando dalla App cugina Snapchat.

Aggiornando Instagram all’ultima versione, agli utenti sarà permesso di domandare qualcosa ai propri followers, dando la possibilità di scegliere tra due opzioni di risposta. Naturalmente sia il quesito che le risposte verranno applicati ad una foto o video, esattamente come si fa già con gli adesivi.

Questo nuovo progetto nasce per chiedere ai propri “seguaci” un consiglio veloce da “come mi vesto oggi?” a “queste sneakers vanno bene con il pantalone blu?” e si spera anche qualcosa di più profondo.

Ideale per le Aziende che potranno fare una sorta di sondaggio pubblicitario per lanciare un nuovo prodotto o chiedere ai propri clienti il parere su un determinato acquisto. Ma attenzione, i sondaggi dopo ventiquattro ore, spariscono – breve ma intenso.

Ma esiste anche un rovescio della medaglia a quanto pare: infatti, chi ha già potuto testare questa nuova divertente novità, non ha gradito assolutamente una piccola parte fondamentale: infatti, chi risponde al sondaggio non è coperto da anonimato. Un gioco al massacro che ha indignato molti utenti, come da dichiarazioni su twitter. In molti, infatti, hanno risposto a numerosi sondaggi, pensando di restare anonimi ed invece hanno combinato molti danni.

Che Instagram abbia fatto tutto questo per far parlare della novità, incuriosendo molte più persone? Non si sa. Sappiamo solo che sono molte le polemiche che stanno girando per il web sulla questione del mancato anonimato.

Nonostante le polemiche, chi possiede l’account di Instagram ha già aggiornato l’ App per provare a creare un sondaggio più o meno serio e vedere la reazione dei propri followers. Non mancheranno i sondaggi dei Vip, con gli argomenti più assurdi: ma ricordate, per ora non siete coperti da anonimato e tutti sapranno il vostro pensiero.

Come creare campagne adv su Instagram

 

Qoobo, il gatto robotico che sostituisce quello vero

A quei furboni giapponesi non manca proprio l’inventiva e la fantasia.
Oggi vi voglio parlare, a tal proposito, del surrogato del gatto che è in arrivo in tutto il mondo.
Di cosa si tratta? Dell’animale domestico in versione 2.0.
Sto parlando di Qoobo ovvero un surrogato del gatto.
Questo strano amico peluchoso è stato creato dall’azienda giapponese Yukai Engeneering, che punta a portarlo sugli scaffali l’anno prossimo in tutto il mondo.
A vederlo però non mi sembra proprio un gatto robotico vero e proprio, perchè Qoobo ha l’aspetto di un cuscino con la coda e quando lo si accarezza, la coda inizia a muoversi.
Insomma …mi pare davvero inquietante 🙂
In pelo sintetico grigio o marrone, qoobo è pensato per bambini, anziani e persone che vivono da sole. Nelle intenzioni del produttore dovrebbe fare compagnia come un quattro zampe, ma senza il bisogno di dargli da mangiare, pulire la lettiera e preoccuparsi di graffi e disordine in giro per casa.
La compagnia intende lanciare l’oggetto su una piattaforma di crowdfunding, a un prezzo intorno ai cento dollari, entro la fine dell’anno, con consegne previste a giugno 2018.

Shangai, ecco i cuochi robot

Come finanziare l’accesso alla giustizia: ecco l’idea di Solas

Gian Marco Solas, trentenne laureato a pieni voti in giurisprudenza, attualmente dottorando e consulente dopo gli studi ha deciso di trasformare la sua ricerca dottorale in un business. Solas, classe ’86 di Oristano si descrive come una persona testarda e che quando si pone un obbiettivo fa di tutto per perseguirlo. Attualmente dopo un periodo trascorso tra New York e Londra ha deciso di tornare per qualche giorno nel proprio paese in Sardegna, a cui si sente comunque molto legato.

Gian Marco sfrutterà l’occasione per ricaricare le batterie prima di tornare al lavoro e per terminare il libro che sta scrivendo. E’ proprio nel libro che il trentenne approfondisce il tema del finanziamento del contenzioso anche dal punto di vista europeo, argomento da cui poi ha preso il via il suo business. Nel corso dello studio Solas ha cercato di dimostrare che anche nell’ordinamento europeo è possibile importare una pratica diffusa da qualche anno nei paesi anglosassoni.

La sola ricerca che ha portato poi alla stesura del libro è durata tre/quattro anni e il libro sarà pronto entro la fine dell’anno per poi essere pubblicato nel corso della prossima primavera e poi diffuso in tutta Europa. Da una prima ricerca teorica è stato poi estrapolato il modello che ha dato vita al business di Solas incentrato sulla figura di un finanziatore terzo di un contenzioso. Il finanziatore terzo è colui che garantisce l’accesso alla giustizia sostenendo i costi delle vie legali in cambio di una percentuale del ricavato da ricevere solo in caso di vittoria finale. Si tratta dunque di una sorta di fondo di investimento o entità simili che decidono di inserire nel proprio portafoglio queste attività ad alto rischio, problema che in Italia affligge quelle piccole o medie imprese che si trovano ad affrontare i costi di un contenzioso.

Attualmente l’obiettivo primario di Gian Marco Solas è portare a termine il proprio libro e poi vagliare le varie opportunità derivanti da finanziatori interessati a questo tipo di business e per i quali continua a lavorare come consulente per singole cause.

Il trentenne non manca però di dare alcuni consigli ai giovani e di puntualizzare che la sua idee è partita indipendentemente dall’obbiettivo di fare solo ed esclusivamente soldi ma dalla volontà di risolvere un problema ovvero che la giustizia in Italia è particolarmente lunga e complessa e che molto spesso i soldi per affrontare le spese legali non ci sono.

Giulia De Lellis sa bene come fare business e parla dei gay

Mi diverte molto parlare di quello che succede in tv ed alle volte, come in questo caso, mi prudono le mani e non vedo l’ora di scrivere quel che penso.
In questo articolo parlerò di Giulia De lellis (chi?!) , la fidanzata di Andrea Damante (chi?!), nonchè concorrente del Grande Fratello Vip.
Si perchè da tempo la TV italiana rappresenta lo specchio di una società e chiunque viene definito ” Vip”con l’approvazione di un giornalismo squallido che fornisce qualifiche basate sul nulla di giovani consapevolmente ignoranti e in cerca di un facile e veloce successo.

Detto questo, posso continuare ad esporre il nocciolo della questione.
Durante il day time della trasmissione, la giovane 20enne avrebbe fatto una gaffe verso il mondo Gay asserendo: “Secondo me i figli dei gay la maggior parte saranno gay”

Questa frase non è piaciuta affatto al mondo omosessuale e sul web si è scatenato il putiferio.

Mi sono chiesta : E’ giusto che la comunità gay si indigni in per una frase del genere?”

Si e no a mio avviso, anche perchè l’indignazione è diventato lo sport nazione più sterile di tutti.
Il punto è che dietro l’indignazione dovrebbe esserci un’opera di rieducazione dello spettatore, che ormai è abituato a fare passaparola e scandalizzarsi su frasi come queste, ma poi se le lascia scorrere sulla pelle come se niente fosse.
La signorina ha offeso il mondo omo? Se Sì non serve indignarsi ma creare la prassi che chi offende andrà  fuori dal programma, senza compenso, senza ospitate post programma, senza copertine su Chi e senza serate in discoteca.

Quand’è , quindi, che a sta gente verrà impedito di fare danni a un’intera comunità/gruppo per alzare qualche soldino con mille mila cuori su Instagram? In qualsiasi momento sarà, sarà sempre troppo tardi.

Già qualche ora prima, la bella Giulia aveva indisposto i concorrenti  autodefinendosi “Esperta di tendenza” e con aria sicura ha intavolato un discorso su ciò che va e ciò che non va sul web…
Pensate che abbia detto una falsità ? Io credo che lei sappia bene cosa dire e fare.
Chi come me fa comunicazione sa bene che queste uscite aumentano i click , lo share e il mondo dei curiosoni.

Questi vippini figli di Maria (De Filippi) campano con frasi dette a mezza bocca e parole che offendono l’una o l’altra parte.

Ma ci sta, è il gioco della tv e di coloro che guadagnano facendo parlare di se nel bene o nel male.
Giulia conosce la giostra e sta girando all’insaputa di tutti coloro che pagano per vederla in una serata in discoteca.
E’ probabile che abbia lasciato il principio di equità e uguaglianza, messo da parte per fare scalpore e soldi facili, ma quel che emerge è un brutto esempio per chi guarda la trasmissione.

OK, sto parlando del Grande Fratello, di un “reality” e si chiama così perche mostra la “realtà”, i comportamenti e i pensieri delle persone, vip o presunti vip, nella vita di tutti i giorni ma a volte sarebbe opportuno mettere dei filtri ed evitare di alimentare sporcizia e cattivo esempio in tv.

Quanto costa stare stare sempre connessi? Ecco come spendere meno anche d’estate

La vendita online sta facendo chiudere tutti i negozi

Questo post dovrebbe far riflettere tutti i piccoli negozianti che forse ancora non si sono accorti che evolversi è l’unico modo per fronteggiare il mercato.

Ho visto su Facebook questa foto e la cosa mi ha fatto tristezza da un lato, perchè capisco che non sia affatto facile ora come ora riuscire a vendere con un negozio fisico, dall’altro mi ha fatto sorridere.

Sorrido perchè indignarsi difronte ad un evidente cambiamento (ormai definitivo) del mercato non serve a nulla, anzi.

Nel cartello esposto è scritto: “Informiamo che la libreria non venderà nè prenoterà testi scolastici a chi ha già acquistato la maggior parte dei libri su Amazon.”

E’come se andassi da un artigiano per farmi fare la cucina e lui mi dice “eh no,il resto l’hai preso da ikea? Sai quanti artigiani hanno chiuso per colpa di ikea? O ti rifai fare tutta la casa o la cucina non te la faccio”.

E’ un cartello che indigna me che sono una mamma e che quindi  penso bene a come spendere per mia figlia.

Tra l’altro mi occupo di comunicazione.
Nel caso in specie, infatti, la comunicazione posta in essere non solo è sbagliata ma anche controproducente. E questo non vale solo per me , che appunto sono mamma, ma il messaggio non è di certo positivo ed accogliente ( come dovrebbe essere se vuoi vendere).

È lapalissiano che avrà breve durata l’attività di questo signore ed forse è giusto così dato che lo stesso non sa comunicare affatto e quindi non sa vendere.

Non dimentichiamoci che chi compra vuole risparmiare senza rinunciare alla qualità ed è per questo che Amazon è leader nel commercio online.

Vediamo di capirne di più:

La differenza fra Amazon ed una libreria qualsiasi sempre on line è del 15%.
Rispetto ad una libreria fisica siamo intorno al 35/40%.
Ora, se un testo con prezzo consigliato dalla lista consegnata ai genitori dalla scuola è pari a 17,70€, perché la libreria fisica lo vende a 21€ ed Amazon a 14,99€?
Per il “servizio”?
E quale sarebbe questo servizio? La consegna al cliente che oltretutto deve recarsi di persona a prenderli?

Mi spiace notare come ancora nel 2017, dove esistono le lavagne interattive, pdf ed è tutto digitale, ci siano alcuni negozianti che sbattono i piedi se stanno morendo.

Sono basita ,cara cartoleria/libreria , e forse sarebbe opportuno ringraziare chi viene ancora da te per il libro mancante.

Questo è il futuro ed il soggetto va dove c’è il risparmio. Amen.
O ci evolviamo o chiudiamo e non c’è alternativa.

Ogni settore commerciale ,compreso quello dei libri, deve aggiornarsi e portarsi in un sistema di vendita più rapido, semplice ed economico quindi diventa naturale che vi sia un’incremento delle vendite on-line.
C’è la comodità di ricevere il materiale acquistato qualsiasi esso sia, la rapidità nel “visitare” i siti e nel trovare ciò che si cerca e se ci mettiamo pure la conseguente riduzione dei costi per l’assenza di “intermediari” portano forzatamente alla chiusura di un certo tipo di negozi e gli acquirenti a servirsi sempre più della rete per fare acquisti.

In conclusione:

Potremmo fare dibattiti su etica economica e quant’altro, ma ciò che conta ,per chiunque abbia un’attività, è doversi innovare, adattare e dover investire per restare sul mercato. Ed è inutile girarci intorno, se sei un imprenditore sai benissimo che un cartello così può solo essere un ulterirore danno per la tua attività.

Nel business non è opportuno far prendere il sopravvento alle emozioni, ci sono migliaia di imprenditori che manderebbero a quel paese altrettanti clienti ma spesso (non sempre) è più proficuo fare sorridere .

Assistenti digitali e comandi vocali: il futuro dell’audio è già realtà

La connettività mobile è già realtà da diverso tempo. L’evoluzione naturale è l’intelligenza artificiale, già presente nei nostri smartphone, nei computer, negli elettrodomestici. Ovviamente è fondamentale anche per il funzionamento dei diffusori audio.

Parlare di questo aspetto significa chiamare necessariamente in causa i comandi vocali, essenziali per tenere sotto controllo dispositivi di diverso tipo.
Utili per ascoltare la musica senza fili in modalità multi room, sono dotati anche di assistente virtuale. Nel caso delle ultime novità di Sony e Panasonic si parla per la precisione di Google Assistant.
Molto interessanti sono anche i prodotti Harman, presentati nei giorni scorsi a Berlino durante uno dei più importanti eventi dedicati all’elettronica di consumo. Michael Mauser, presidente della divisione Life Style di Harman, è stato intervistato da diverse testate.

Rispondendo alle domande dei giornalisti ha ricordato che, al giorno d’oggi, le persone sono portate a vivere esperienze audio in diverse situazioni della propria vita, dai momenti passati a casa fino alla coda in auto.
La voce, chiaramente, gioca un ruolo chiave. Secondo quanto rivelato da Mauser nell’intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore, entro il 2024 i dispositivi a controllo vocale raggiungeranno un mercato del valore complessivo di sette miliardi di dollari.
Sempre nell’intervista al Sole, Mauser ha ricordato che la tecnologia vocale non è più una soluzione innovativa. Da tempo fa ormai parte della vita quotidiana ed è accessibile a un pubblico molto vasto. Questo è possibile anche grazie al lavoro con nomi di spicco come Amazon,  Korea Telecom e Google.
Un settore che merita particolare attenzione è quello automobilistico. Le soluzioni di elaborazione vocale messe a punto da aziende come Samsung si stanno rivelando essenziali nel percorso che porterà nelle nostre vite la guida autonoma e semi autonoma.

L’auto connessa è uno dei principali obiettivi dell’industria automotive.
Nei prossimi anni, le vetture che guideremo saranno personalizzate e faranno riferimento prima ai software e, solo in seconda istanza, ai guidatori umani, che potranno, quando sono a bordo, passare del tempo piacevole grazie a servizi specifici dedicati all’intrattenimento.

Facebook : cosa posso fare in caso di diffamazione?

Gruppi chiusi Facebook che incitano all’odio

Leggete questa storia di Ama, gambe amputate e grasse risate che c’è da piangere.
Torniamo a parlare di gruppi chiusi su Facebook perché le novità sono tante e direi poco confortanti. Direi che la presa di posizione della Boldrini, a grandi linee, ha sortito tre effetti: la chiusura più frequente di gruppi da parte di fb (che ovviamente riaprono dopo 5 minuti, ma ormai con qualche difficoltà), l’apertura di nuovi gruppi che postano merda più di prima (pastorizia ormai si è spostato altrove) e gli admin (nonché gli iscritti) di alcuni gruppi, quelli più recidivi, che hanno alzato il tiro.

Tra questi c’è il noto (nel giro) admin romano di Welcome to favelas (e dei relativi gruppi chiusi a favelas legati) Massimiliano Zossolo. Uno che non teme niente e nessuno, con precedenti penali (ha preso 6 anni per aver assaltato una camionetta dei carabinieri a San Giovanni: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/toh-anche-italia-se-fuoco-blindato-carabinieri-dentro-49033.htm) come molte sue collaboratrici di Favelas e care amiche. (colei che fa parte della “crew” e segue la sua linea di magliette “cagna” si chiama Sara Casarin (Sara Casa su Facebook), una trevigiana che a 23 anni era già stata condannata per spaccio http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2010/10/27/news/e-stata-condannata-a-un-anno-e-quattro-mesi-di-reclusione-sara-casarin-ventitreenne-residente-1.1468339).
Welcome to favelas (e gruppi chiusi annessi), per intenderci, è uno dei gruppi, assieme a Pastorizia ed altri, in cui sono stati più volte diffusi i file con materiale pedopornografico denominati Bibbia e molta altra merda, comprese foro fatte di nascosto a povera gente per bullizzarla, video di ragazze inconsapevoli e il famoso video con i rom e i dipendenti LIDL. Zossolo e il gruppo sono citati in varie denunce di ragazze che ho visto con i miei occhi. Il commentatore medio di favelas è l’anello di congiunzione tra la scimmia e la scimmia. (ovviamente sono oggetto del loro bullismo da tempo, con Zossolo & co ad aizzare).

Bene. Da qualche settimana Zossolo ha deciso che della Boldrini, di me, degli interventi di Facebook, del clima generale se ne sbatte altamente i coglioni. Anzi. ha deciso di alzare l’asticella. Tanto, lui, delle sue denunce se ne vanta pure in svariati post. Di quello che viene pubblicato (soprattutto sulle donne) in maniera più ampia mi occupo domani su Il Fatto.

Intanto però parto da qui, dall’utente medio di questi gruppi, che ha perso ormai la percezione della realtà, che a forza di chiamare black humor l’imbecillità unita alla mancanza di empatia per qualsiasi cosa, scrive e posta qualunque cosa. Condivide col branco qualsiasi cosa, per sentirsi il figo, l’eroe, il politicamente scorretto del giorno. Per essere quello che fa bella figura con l’admin pregiudicato (sono pregiudicati per droga pure alcuni admin di Patorizia, ovviamente)
Ne vedo centinaia di questi idioti che rischiano denunce, posti di lavoro, reputazione per postare le loro cagate. Molti, il lavoro e la reputazione li hanno persi davvero, tra l’altro. Ogni tanto scrivo loro in privato, gli mando quello che postano chiedendo se si rendono conto di quello che fanno. Qualcuno se la fa sotto e mi chiede di stare zitta, toglie tutto. “Ho fatto una cazzata”, dice. La maggior parte però, e mi duole dirlo, ci mette il carico.

Ha la sua opportunità di farsi due domande, e se la gioca male, molto male.

Offende, sfida, torna nel gruppo, posta il mio messaggio e invita a insultarmi. E questo avvalora la mia tesi di sempre: la maggior parte di questa gente deve subire le conseguenze dei suoi gesti. Non funziona altro. Deve guardare in faccia la gente che soffre per quello che fa, deve sapere quanto fa schifo, deve sapere che l’impunità non è per sempre.

Giorni fa, un tizio romano che lavora all’Ama, ha postato sul nuovo gruppo feccia fondato da Zossolo la foto delle gambe trovate nel cassonetto romano amputate alla povera vittima dei Parioli. (Le gambe le ho censurate io, nella foto qui sotto.) Quella ammazzata e fatta a pezzi dal fratello, finita in cronaca con grande rilievo.

Ha posato i resti di questa donna così, facendosi due risate con i membri del gruppo per l’ingenuità dell’assassino che s’è fatto sgamare da lui o dai suoi colleghi, chi sa.

Quelle gambe non sono il corpo di una poveretta morta ammazzata, no, sono un pretesto per ridere col branco.

Eccolo qui il danno di questi gruppi: la perdita della percezione della realtà. L’idea che il web sia una zona franca, un mondo parallelo.

Scrivo al tizio. Gli chiedo se si rende conto. Il tizio prende il mio messaggio, lo posta nel gruppo e dice che vado presa a calci nel culo. E giù con gli insulti. C’è chi scrive “Qualcuno je spari”.
Questa è la situazione. Basta parlare di generico “web”, di “gruppi”, di “social”. Questa roba qui non è frutto di algoritmi. E’ frutto delle azioni di gente che ha nome e cognome. I nomi e cognomi, oggi, sono Massimiliano Zossolo e Massimo Ricci, l’eroe dell’Ama che anziché provare compassione per quella poveraccia finita a pezzi in un cassonetto, l’ha sbattuta in un gruppo chiuso, “di nascosto”. Perché questa gente fa schifo, ma non ha neppure il coraggio di fare schifo fino in fondo.

 

Post di Selvaggia Lucarelli

 

Sfida visiva: indovina chi è la mamma?

Sembra facile ma non lo è affatto.

Diciamo che ,però, se poniamo attenzione all’atteggiamento di entrambe le donne, possiamo arrivare alla soluzione abbastanza velocemente.

Quale delle due donne è dunque la mamma?

La risposta è la n.1

Il perchè? E’ presto detto.
La donna raffigurata nell’immagine al numero uno è seduta in modo che le sue gambe siano indirizzate al bambino. E’ evidente che questa posizione rappresenti la protezione della madre.
Inoltre, al contrario di quello che si potrebbe pensare, i bambini di solito giocano guardando la madre e non dandole le spalle.

Questo gioco, come anche molti giochi che troviamo online, è un strumento utilizzato in psicologia per valutare le capacità di osservare e l’intuizione. Proprio per questo la risposta che darete definisce alcuni aspetti della vostra personalità

Hai scelto la donna n 2:

Siete delle persone creative, spiritose e la vostra caratteristicha indistinguibile è l’ immaginazione. Solitamente siete predisposti ad ascoltare gli altri e dar loro degli ottimi consigli.

Siete connaturati da sensibilità ed avete una grande professionalità ma avete sbagliato a rispondere. Purtroppo la donna numero due non è la madre del bambino.
Hai scelto la donna numero 1:

Siete tenaci e trasparenti. Provate sempre a vedere il lato positivo delle cose e non temete cambiamenti e rischi. Di solito analizzate ogni dettaglio e infatti avete dato la risposta esatta, la donna numero uno è la madre del bambino. Inoltre non amate molto mescolare affari e rapporti personali

Vi ci ritrovate?

Leoni da Tastiera : sui social ormai è una giungla

Navigando sui social mi sono imbattuta in commenti molto aggressivi totalmente gratuiti.

Una volta si diceva che l’uomo riesce a dare il peggio di sé al volante, allo stadio o mentre parla di politica. E io mi permetto di aggiungere anche sui social.
Su Facebook, Twitter e Instagram complice l’anonimato, si diventa davvero leoni da tastiera pronti ad accanirsi sulla vittima sacrificale del momento.
Dal ragazzo che non si uniforma agli altri, alla mamma che dimentica il bambino in macchina, al calciatore passato da una grande squadra a una di quelle rivali.
E giù con commenti pieni di insulti e di cattiveria da far rabbrividire.
Ma la cosa più destabilizzante è scoprire che vengono fuori da persone che apparentemente sembrano tranquille ed equilibrate, in palese contraddizione con l’immagine che normalmente mostrano.
Ho letto queste righe scritte in un articolo e le ho trovate illuminanti “succede che nel fatato mondo del web le persone, colte da un improvviso coraggio epico, decidano da che parte stare e si scaglino con veemenza verso chi la pensa diversamente.

Quello che nella vita reale accade raramente, con l’ignavia a farla da padrona, trova invece improvvisa concretizzazione sui social. Attingendo a piene mani da questo bidone di insoddisfazione, l’utente medio si sente in diritto di giudicare tutto e tutti”.
Vi è mai capitato di farci caso? Vi siete mai chiesti perché?

Io ritengo che i famosi “leoni da tastiera” siano figli della frustrazione e dei problemi quotidiani, immagino che per loro sfogare cio’ che hanno dentro in questo modo sia “normale” e che probabilmente faccialoro stare meglio.
Personalmente credo sia gente che non si accorga, che oltre ai problemi del quotidiano, dovrebbe necessariamente risolvere anche dei disturbi comportamentali.
Poi ci sono gli inguaribili stupidi che sono la categoria piu’ diffusa.

Instagram Stories, attirare contatti in tre semplici passi