Post impopolare. I millennials, cresciuti col mito del CEO startupper padrone di sé e del proprio tempo, inseriti nei contesti professionali organizzati hanno avuto quasi tutti esisti controversi. Positivi all’inizio. Alla lunga, disfunzionali.
La critica ricorrente: Bravi, innovatori, ma pensano solo a sé rovinando l’ambiente di lavoro.
Molti, troppi manager di piccole e grandi aziende mi raccontano da mesi tutti la stessa storia. Ecco i loro commenti ricorrenti:
– i ventenni si sono presi troppo spazio; hanno preteso di entrare subito in ruoli apicali; molto gli è stato concesso in virtù dei loro skill ma è stato un boomerang.
– Considerano il bene collettivo tempo perso, la strutturazione dei sistemi cosa che non li riguarda, la cura degli altri roba da poveracci
– Aspirano all’annuncio, al collezionismo di titoli per il CV rivendicati per incarichi esercitati pochi mesi quando non settimane.
– Danno idee ma non eseguono. Se lo fanno pretendono subito altri riconoscimenti o promozioni
– Non hanno esperienza né gavetta. Sono bravi ma non si applicano.
– Non sanno cosa sia la discrezione e non tengono i segreti aziendali.
– non ascoltano
Insomma suscitano entusiasmo iniziale ma poi screditano il lavoro di tutti gli altri. Ignorano moltissime cose anche basilari del mestiere e della vita sociale. Sono spesso geniali ma irregolari indisciplinati ed egocentrici ai limiti dello squilibrio mentale. In altre parole, la conclusione di molti di quelli che si sono confidati è: non sanno lavorare e non si “piegano” ad imparare tuttavia ce li dobbiamo tenere per via delle competenze per cui li abbiamo scelti.
Durissima da mandare giù
Scritto dalla giornalista Barbara Carfagna